Spesso
critichiamo la società in cui viviamo, e spesso abbiamo ragione. Parliamo dei
diritti mancati, di una collettività immatura, di una democrazia inesistente,
dove le persone votano con la pancia e non col cervello. Teniamo a ribadire che
viviamo in una società che sta retrocedendo invece che avanzando, poiché i
valori di un tempo non sono stati sostituiti con nuovi valori o con valori
sballati, come quelli dettati dal consumismo. Ricordiamo i diritti cancellati
(come nel mondo del lavoro) oppure quelli non riconosciuti (come quelli degli
omosessuali, giusto per fare un esempio attualmente in voga).
Tuttavia proprio
in questi giorni sto editando un libro scritto da una signora un po’ più
giovane dei miei genitori, e che appartiene al mio territorio originario,
ovvero l’Ogliastra. Inoltre ieri ho visto un documentario che parlava della
vita tra i “Sassi di Matera,” ovvero quelle particolari alloggi (non mi sento
di chiamare delle grotte col nome “case”) costruite all’interno della roccia e
abitate da generazioni millenarie di esseri umani. Nello specifico anche mia
madre andava in giro scalza come i bambini di quei rioni, ma aveva il tempo di
giocare, come suo padre aveva il tempo di sedersi e scambiare quattro
chiacchiere con i compaesani del vicinato.
Infatti la
comunità stanziata nei “Sassi” era ridotta ai minimi termini. Vivevano appunto
in delle grotte sino alla metà degli anni cinquanta, e tutto l’arco della
giornata era dedicato a raggiungere i terreni agricoli e dunque il lavoro.
Quali diritti potevano avere queste persone, che non avevano nemmeno l’acqua
corrente o i servizi igienici più elementari? Condividevano l’unico vano della
grotta con gli animali e possiamo dunque immaginare il fetore presente. Sembra
di parlare di chissà quale era primitiva, invece sto parlando di quanto? Anno
più o anno meno 70, 75 anni.
Forse ho
utilizzato un esempio limite, ma la situazione nell’Italia post bellica era la
medesima in diverse regioni, non sempre appartenenti al Meridione. Come esempio
potrei citare il Friuli oppure il Veneto, dove l’unica speranza era emigrare
alla ricerca di un posto al sole, esattamente come oggi fanno i cittadini delle
più disgraziate e sfortunate aree del pianeta. I diritti di tante persone erano
ridotti a zero anche nelle democrazie più avanzate, pensiamo agli arresti degli
omosessuali nell’Inghilterra o negli USA degli anni ’50 (dove intere comunità
erano allontanate e segregate).
Dunque a
mio parere oggi non stiamo vivendo una regressione nel campo dei diritti
sociali, civili o politici, ma stiamo attraversando una fase di “abbruttimento
sociale,” se posso utilizzare un’espressione rozza nella forma ma non nella
sostanza. La nostra società e in generale tutte le società occidentali stanno
perdendo i pilastri che un tempo sostenevano il vivere comune. Abbiamo perso
irreparabilmente l’eleganza nei rapporti umani, la solidarietà tra uomini e
donne, il sentirci parte di qualcosa che una partita di calcio non potrà
permetterci di recuperare. Quelle comunità misere che prima citavo come esempio
erano più felici, una felicità motivata anche da regole condivise cementate più
dalla consuetudine che dal diritto. La competitività tra individui, il carrierismo
sfrenato, la paura dei rapporti umani ci dominano, perché non siamo capaci di
avere fede in nulla, elemento che sto cominciando a notare anche tra i più
giovani. Una cosa spaventosa.
Vincenzo Maria D'Ascanio
vimdascanio@tiscali.it
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