mercoledì 9 dicembre 2020

Vita da insegnanti in tempi di "didattica a distanza". Di Lucia Chessa.


 

Io me lo ricordo quando a suo tempo ho deciso di iscrivermi in filosofia. Il commento era più o meno questo qui: “Ma perché? Potrai fare “solo” l’insegnante”. Era già allora tutto detto. Si capiva già tutta l’aria che tirava. Tu puoi laurearti, specializzarti, studiare e approfondire, aggiornarti, raffinare le tue competenze di didattica dalla progettazione alla valutazione, ma sarai sempre “solo” un' insegnante a cui tutti si sentiranno in diritto di chiedere altro.

 E quindi vai con gli adempimenti, la produzione burocratica di carte, i documenti di monitoraggio, le relazioni iniziali e finali, i PDD, i PEP, i PIP, i VIA, i PDP ecc. ecc. ecc. Non scherzo eh, tutti documenti da produrre, meglio se rigorosamente all’interno di schemi già predisposti, alle volte non ti venga in mente di essere un soggetto creativo invece che un riempitore di caselle. E io che volevo fare “solo” l’insegnante, cioè “solo” lavorare con gli studenti, anche sputando l’anima in classe, qualora fosse necessario, piano piano mi sono trovata fuori tempo, adatta “solo” a dialogare con gli studenti, a cercare di insegnar loro a scrivere, a parlare, a comprendere un testo, anche leggendo tra le righe.

 Adatta solo a cercare di educarli insegnando loro a guardarsi attorno, ad osservare, a valutare con senso critico. Adatta “solo” a proporre loro conoscenze curandomi di dare loro gli strumenti affinché sappiano appropriarsene e servirsene. Adatta "solo" ad insegnar loro a guardare alla storia, al passato, cercandovi indizi per capire meglio il loro tempo e per produrre uno sguardo verso quello che li aspetta. Ma è da molti anni che tutto ciò pare non bastare. Occorre dimostrare altro producendo carte. Carte come se non ci fosse un domani, carte come a doversi giustificare di fare “solo“ l’insegnante, quello delle 18 ore, quello dei 3 mesi di ferie, quello del cosa vuoi che sia trovarti davanti 25/30 ragazzini per volta da educare, motivare, appassionare, istruire dando ad ognuno il suo.

 Ed è su questa scuola che si è abbattuta la pandemia. Una scuola incapace di difendere se stessa e di elevarsi dal ruolo che le ha assegnato un paese sempre più disattento, che spende il minimo in istruzione ed educazione e che sull'ignoranza e l'approssimazione fonda molti e immeritati poteri. E quindi vai prima con la narrazione delle scuole posti sicuri, anche contro ogni evidenza. Poi con la didattica a distanza raccontata come una specie di vacanza aggiuntiva e fuori tempo, con gli insegnanti intenti a sfregarsi le mani, a casa con lo stipendio senza lavorare.

 Io ve lo dico chiaro, anche a voi che non vorrete capirlo: fare didattica a distanza è molto faticoso. Si tratta di cambiare il tuo modo di insegnare, si tratta di studiare molto per trovare il modo giusto, si tratta continuamente di mandare, ricevere e correggere compiti restituendoli con giudizi ed indicazioni a fare meglio, si tratta di predisporre materiali, si tratta di essere a contato h24 con ognuno dei tuoi 60 studenti che ti scrivono, ti fanno osservazioni, ti chiedono chiarimenti, vogliono indicazioni.

 E tu lavori cercando di fare la parte tua per non sfilacciare tutto, per dare risposte a ciascuno, per farlo sentire ancora parte di un gruppo, per facilitare. E poi arriva una mediocre ministra dei trasporti che, non riuscendo a portarti gli studenti a scuola in sicurezza, ti spara che si potrebbe recuperare andando a scuola anche la domenica. E poi arriva una mediocre ministra dell’istruzione che ti spara che per recuperare si potrebbero accorciare le vacanze estive. Ma recuperare “de che” se ci stiamo facendo il mazzo. Mi è arrivata la richiesta di rispondere ad un sondaggio; " Saresti d'accordo alle scuole aperte a luglio? Vota si o no". Ho pensato: "voto solo se si può scrivere una parolaccia". Con tanti saluti a tutti

Di Lucia Chessa

 

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