mercoledì 30 dicembre 2020

I dubbi sulla legittimità della condanna a Saddam Hussein.


 

 

All’alba del 30 Dicembre 2006 è impiccato l’ex rais iracheno Saddam Hussein. “La condanna del criminale è stata eseguita”: con queste parole, la TV di stato irachena dà notizia dell’esecuzione di Saddam Hussein.

 L'ex presidente iracheno fu catturato da soldati statunitensi durante l'Operazione Alba Rossa in un villaggio nelle vicinanze di Tigrit il 13 dicembre 2003. Fu sottoposto a processo che cominciò dal 19 ottobre 2005 (da un tribunale composto da iracheni) assieme ad altri sette imputati, fra cui il fratellastro, ed ex gerarchi del suo regime. Il capo d’imputazione era crimini contro l'umanità in relazione, tra le altre, alla strage di Dujail del 1982 (dove furono uccisi 148 sciiti). Il 5 novembre 2006 fu condannato a morte per impiccagione, ignorando la sua richiesta di essere fucilato. Il 26 dicembre 2006 la condanna fu confermata dalla Corte d'appello.

 In Occidente si ebbero giudizi fortemente contrastanti. George W. Bush, presidente degli Stati Uniti, espresse la sua completa soddisfazione, definendo la sentenza «una pietra miliare sulla strada della democrazia». Al contrario i governi dei Paesi dell'Unione europea, pur approvando il verdetto di colpevolezza, ribadirono la loro contrarietà di principio alla pena capitale, incluso il governo italiano: Massimo D'Alema dichiarò «Siamo contro la pena di morte sia come italiani che come europei». Molti governi europei suggerirono all'Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione non lontana da quella russa.

 Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch, criticarono la condanna a morte e lo stesso svolgimento del processo, che non avrebbe sufficientemente tutelato i diritti della difesa e che sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del governo iracheno e, indirettamente, da parte dell'Amministrazione statunitense.

Sarebbe stato, dunque, un processo penale da parte della “normale” magistratura irachena, (rispettoso sia del principio della irretroattività delle legge penale, sia del principio del giudice «naturale», precostituito per legge), ma non sarebbe stata la soluzione migliore per giudicare un dittatore, soprattutto dal punto di vista politico.

In primo luogo, quel tribunale speciale avrebbe violato il principio della presunzione d’innocenza e non avrebbe garantito all’ex rais la possibilità di potersi difendere adeguatamente. Inoltre non possiamo dimenticare che quello stesso giudizio, come scritto sopra, subì le fortissime pressioni degli stati Uniti, arrivato a controllare il paese con un atto illegittimo basato sulla violenza e sulla forza.

 

 

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