venerdì 16 luglio 2021

Muore Masaniello, il “Che” Guevara napoletano. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.


 

(6 Luglio 1647) "È muorto chi lu Nobile ha smaccato. È muorto chi ha cresciuto li panelle. È muorto chi ha strette li Gabelle.”

 

Così scrive un anonimo poeta, all'indomani della morte di Tommaso Aniello (Napoli 1620 - ivi 1647), detto Masaniello. Colui che fu l’eroe del popolo napoletano, che, a capo della rivolta di luglio, riuscì a far abolire le gabelle sui beni di consumo popolari, imposte dal Viceré spagnolo Duca D’Arcos. Non era argentino e men che meno laureato, ma è considerato il Che Guevara dei napoletani. Come il celebre rivoluzionario, infatti, Masaniello riuscì a incitare il popolo contro il potere costituito grazie al suo carisma, come il Che fu tradito proprio dalle persone di cui si fidava e, sempre come lui, divenne un mito per i posteri.

 

A capo di un esercito di giovani “lazzari” , gli Alardi, guida la rivolta da piazza Mercato, centro delle attività economiche. I rivoltosi, guidati da Masaniello e da altri capi popolani, invasero la reggia, forzarono le carceri, distrussero gli uffici daziarî. Seguirono vittorie ed eccessi, che ben presto ledono la sua popolarità. Il 16 luglio, muore in una congiura ordita contro di lui.

 

Ci sono numerose leggende intorno alla figura di Masaniello, per questo non è semplice ricostruirne con precisione le vicende. Così veniva descritto dai suoi contemporanei: “Era un giovine di ventisette anni, d'aspetto bello e grazioso, il viso l'aveva bruno ed alquanto arso dal sole: l'occhio nero, i capelli biondi, i quali disposti in vago zazzerino gli scendevano giù per lo collo. Vestiva alla marinaresca; ma d'una foggia sua propria, la quale, [...] alla mezzana, ma svelta sua persona molto di gaio e di pellegrino aggiungeva.”

 

Si sa per certo che lavorava al mercato come pescivendolo, e guidò la rivolta del popolo contro le cosiddette "gabelle", delle imposte sui beni di prima necessità che andavano a incidere sopratutto sugli strati più poveri della popolazione. A quel tempo Napoli era governata dagli spagnoli, e la rivolta fu tanto efficace che portò non soltanto all'annullamento delle odiate imposte, ma addirittura a concedere potere agli strati più umili della popolazione.

 

Sulla fine di Masaniello ci sono delle ipotesi, alcune delle quali piuttosto colorite. Secondo un’ipotesi egli non fu capace di gestire l'enorme potere accumulato, e la sua mente non resse alle responsabilità tanto che impazzì. Altri dicono che la sua pazzia fu dovuta a degli allucinogeni che gli furono dati al palazzo regio, senza che lui lo sapesse. Ad ogni modo si sa con certezza che alla fine fu decapitato e il suo corpo gettato sotto un ponte.

 

Tuttavia, dopo la sua morte, le gabelle furono reintrodotte e il popolo si pentì per non averlo difeso. Il suo corpo fu composto e ricucito, e furono celebrati dei funerali solenni a cui parteciparono migliaia di napoletani, sopratutto delle classi meno abbienti. Oggi Masaniello è ricordato come il "Che" Guevara napoletano, e nell'immaginario collettivo continua a restare una figura leggendaria.

 

Vincenzo Maria D’Ascanio

 

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