venerdì 23 luglio 2021

Come ci vedono gli "Altri" (40) Viaggiatori italiani in Sardegna FRANCO CAGNETTA (1926-1999) Di Francesco Casula.


 

Franco Cagnetta nasce il 13 aprile 1926 a Bari e muore a Roma il 7 aprile 1999. Antropologo, etnologo e iconologo è legato alla Sardegna fin dal 1950, quando inizia a condurre in Orgosolo, a varie riprese, fino al 1954, un insieme di indagini che si concreteranno in alcuni scritti: nel 1953 su «Società» pubblicherà La disamistade di Orgosolo e nel 1954 su «Nuovi Argomenti» Inchiesta su Orgosolo.

 Cagnetta stesso nell’introduzione alla prima edizione italiana in volume, in una collana diretta da Luigi M. Lombardi Sartriani per la casa editrice Guaraldi, ci fornisce alcuni dati relativi alla “fortuna” della sua opera ma anche alle polemiche che essa suscitò. Nel 1954 – scrive Cagnetta – “Il nome di quello sperduto villaggio sardo era quasi sconosciuto alla maggioranza degli italiani. E quasi altrettanto sconosciuti erano in Italia quei metodi di ricerca che si sono poi venuti delineando sotto il nome di antropologia culturale”.

Nella sua opera infatti lo studioso barese – che si era laureato a ventuno anni in Filosofia all’Università di Messina, dove quattro anni dopo era divenuto incaricato dell’insegnamento di Filosofia della Storia – offre un primo significativo contributo a un movimento culturale che elevava le tradizionali ricerche folcloristiche al livello di interpretazione antropologica ed etnologica. Non senza difficoltà e persino opposizioni da parte del potere economico, politico e amministrativo che, a causa delle sue ricerche “scomode”, si sentiva evidentemente minacciato o comunque messo seriamente in discussione.

Scrive infatti Cagnetta nell’Introduzione: ”Voglio qui ricordare (soltanto per caratterizzare la singolare condizione in cui si trovava la ricerca antropologica) che nel corso di quelle ultime indagini certi proprietari locali giunsero a intimarmi il silenzio sugli avvenimenti con minacce di morte, di cui naturalmente non tenni alcun conto. Non posso certo dire però di aver beneficiato dell’aiuto delle autorità amministrative e delle forze di polizia locali, che, invece di proteggere la ricerca, cercarono di impedirmela con interrogatori, pedinamenti ecc.”.

Ma c’è di più: a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Inchiesta su Orgosolo, il 9 novembre 1954, l'allora ministro dell'Interno, il democristiano Mario Scelba, denunciò all'autorità giudiziaria sia Franco Cagnetta che i direttori della rivista, Alberto Moravia e Alberto Carocci, ma anche tutti i responsabili dei giornali che ne riportavano brani, per i reati di di vilipendio delle forze armate e pubblicazione di notizie atte a turbare l'ordine pubblico. Lo stesso Scelba chiese – ottenendolo – il sequestro della rivista.

Non posso non ricordare – scrive ancora Cagnetta – l’ironica sorpresa che suscitarono in me accuse tanto preoccupanti rivolte alla nascente antropologia culturale. La questione fu discussa persino in Parlamento, dove il socialista Pietro Nenni la definì la più terrificante inchiesta che sia comparsa negli ultimi sessant'anni. Dovettero passare quasi due anni prima che il Tribunale di Roma, con sentenza del 4 Aprile 1955 dichiarasse non doversi promuoversi l’azione penale e ordinasse la trasmissione degli atti in archivio perché nell’Inchiesta non ricorrevano gli estremi di reato di vilipendio delle forze armate e perché le notizie pubblicate non erano tali da turbare l’ordine pubblico, come il Ministero dell’Interno, con rapporto della Questura di Nuoro, aveva denunciato.

Anche se per la scarsità della tiratura e per gli effetti del sequestro l'Inchiesta divenne immediatamente introvabile, il lavoro di Cagnetta sollevò un'eco immediato sulla stampa italiana (dal Il Corriere della Sera a Il Contemporaneo, dall’Avanti, a Paese Sera, La Stampa ed altri) e su quella straniera (dal The Times a Le Figaro) dove vennero pubblicati numerosi estratti. Tale eco fu rinnovato nel 1961 quando, alla Biennale di Venezia, fu assegnato il Premio opera prima al film di Vittorio De Seta Banditi a Orgosolo, che all’Inchiesta si ispirava. Alla sua Inchiesta Cagnetta, orgogliosamente, – e, a nostro parere, giustamente – attribuisce un certo peso nel promuovere l’abolizione successiva del «confino di polizia» e l’inchiesta del senato, i cui testi sono noti attraverso i due volumi della « Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della criminalità in Sardegna».

Sia come sia, la ricerca di Cagnetta fu pubblicato integralmente solo nel 1963 in Francia per le Edizioni Buchet/Chastel di Parigi (Bandits d'Orgosolo), con prefazione di Alberto Moravia e fotografie di Pablo Volta e Sheldon M. Machlin. Questa edizione viene poi tradotta e pubblicata in Germania nel 1964 dalle Edizioni Econ-Verlag (Dusseldorf-Wien) con il titolo Die banditen von Orgosolo). Bisognerà aspettare fino al 1975 per la prima pubblicazione in Italia con il titolo Banditi a Orgosolo, con l’editore Guaraldi , con un'introduzione di Luigi Lombardi Satriani e una nota dell'Autore, che si aggiungono alla prefazione di Alberto Moravia già apparsa nell'edizione francese.

Ma ecco come Cagnetta presenta, nell’Introduzione, la sua ricerca: ”Nell’ inchiesta su Orgosolo del 1954 mi ero posto una questione per me assillante: come è possibile studiare una popolazione e una civiltà di «primitivi» senza tener presente la realtà dei rapporti che essa ha con la civiltà moderna in cui è in contatto? Lo studio di una popolazione e di una civiltà di «primitivi» non è niente altro che lo studio di una particolare situazione del nostro mondo moderno. Più che nello studio isolato del «relitto» il compito dell'etnologo sta nello studio dei rapporti tra struttura antica e moderna, per indicare, poi, i mezzi che consentano di evitare uno scontro drammatico di distruzione (che è sempre sopraffazione della struttura antica) e cercare un incontro che permetta di conservare la civiltà dell’antico immettendola nel mondo moderno, che ne sarà arricchito.

È studiando il caso di Orgosolo che mi ero reso conto che, se un «relitto» arcaico esisteva, esisteva in una tensione distruttiva non ancora risolta. La sua permanenza derivava soltanto dalla impotenza della struttura moderna – gli Stati succedutisi dai Romani ad oggi – che ne avevano tentato la conquista soltanto con la forza militare. Rinunciandovi per situazioni assai particolari (difficoltà di territorio, tradizione millenaria di guerriglia, scarso profitto economico) avevano trovato il loro interesse – nel cingerlo in un perpetuo assedio poliziesco – perpetuandone così l'esistenza arcaica, abbandonata a sé stessa.

Era una situazione ben nota nelle conquiste coloniali in Africa, in Asia, nelle Americhe, eppure Orgosolo era un paese nel territorio italiano, abitato da cittadini italiani. Venivo a toccare uno dei problemi più gravi e pia dolorosi del processo di unificazione nazionale. Mi era impossibile – se non accettando di essere un quadro culturale «colonialista» (e l'etnologo «accademico» mi si rivelava così essere niente altro che l'etnologo «colonialista») – evitare di denunciare lo scandalo che costituiva la situazione di Orgosolo.

Il problema aveva assunto maggior rilievo per le gravi repressioni che in quell’anno 1954 furono condotte contro il paese. Lo scandalo mi sembrava esemplare per far comprendere l'azione della «struttura» moderna dello Stato diretto dalla borghesia. Denunciando apertamente le condizioni di Orgosolo mi ero limitato a dire soprattutto quali erano i metodi che non dovevano essere usati: quelli unilaterali della conquista militare, della repressione poliziesca. È una lezione appresa in Orgosolo venti anni fa e, dopo tanti anni, non ho che nuovi motivi per sottoscriverla integralmente.

 

Ritrovo in questa mia convinzione di uomo e antropologo una ragione per ripubblicare in Italia questa inchiesta. La ripubblico quale fu scritta, senza aggiornamenti, poiché la situazione del paese, che pure ha subito profonde modifiche esterne (come risulta dalle testimonianze degli amici pastori che lavorarono a quelle mie ricerche, dalle cronache criminali dei giornali e dai nuovi studi su Orgosolo) non sembra modificata per l’essenziale. Malgrado un notevole affievolimento e la scomparsa di molte tracce, la struttura culturale arcaica del paese non è del tutto scomparsa”.

Sul problema del colonialismo esercitato dallo Stato Italiano nei confronti della Sardegna, di cui il caso “Orgosolo” è emblematico, ritorna nella prefazione Luigi M. Lombardi Sartriani il quale chiedendosi perché il libro di Cagnetta abbia suscito tanto scandalo risponde: ”Sinteticamente, siamo negli anni Cinquanta, la società italiana è in fase di espansione capitalistica; la ricchezza che viene prodotta (ma a vantaggio di chi?) tende a occultare le zone di sottosviluppo, il cui mantenimento è funzionale allo stesso sviluppo capitalistico e che costituiscono il prodotto della stessa logica… in un quadro di costante sfruttamento”.

Di sfruttamento, repressione e nel contempo di espropriazione culturale, segnatamente nei confronti dell’area barbaricina. “La distruzione del diverso, (prassi effettiva) – scrive ancora Sartriani – smentiva il rispetto e la garanzia della libertà (dichiarazione ideologica): la Barbagia veniva indicata come luogo (uno dei luoghi) della violenza distruttrice delle classi dominanti, dell’espropriazione culturale ed esistenziale…”

Sullo stesso versante si muove Alberto Moravia nella Introduzione al libro di Cagnetta: anch’egli denuncia il colonialismo e la repressione da parte dello Stato italiano considerato dai Sardi “lontano e avverso quando non addirittura straniero”. E continua: ”Io stesso con i miei occhi ho veduto nelle meravigliose solitudini alpestri della Sardegna posti di guardia di carabinieri dotati di armi modernissime e di comunicazioni radio, proprio come soldati in una colonia in rivolta contro un regime colonialista”.

Di Francesco Casula.

Saggista, storico della Letteratura sarda

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