Franco Cagnetta nasce il 13 aprile 1926 a Bari e muore
a Roma il 7 aprile 1999. Antropologo, etnologo e iconologo è
legato alla Sardegna fin dal 1950, quando inizia a condurre in Orgosolo, a varie riprese, fino al 1954, un
insieme di indagini che si concreteranno in alcuni scritti: nel 1953 su
«Società» pubblicherà La disamistade di Orgosolo e nel 1954 su «Nuovi
Argomenti» Inchiesta su Orgosolo.
Cagnetta stesso
nell’introduzione alla prima edizione italiana in volume, in una collana
diretta da Luigi M. Lombardi Sartriani per la casa editrice Guaraldi, ci
fornisce alcuni dati relativi alla “fortuna” della sua opera ma anche alle
polemiche che essa suscitò. Nel 1954 – scrive Cagnetta – “Il nome di quello
sperduto villaggio sardo era quasi sconosciuto alla maggioranza degli italiani.
E quasi altrettanto sconosciuti erano in Italia quei metodi di ricerca che si
sono poi venuti delineando sotto il nome di antropologia culturale”.
Nella sua opera infatti lo studioso barese – che si
era laureato a ventuno anni in Filosofia all’Università di Messina, dove
quattro anni dopo era divenuto incaricato dell’insegnamento di Filosofia della
Storia – offre un primo significativo contributo a un movimento culturale che
elevava le tradizionali ricerche folcloristiche al livello di interpretazione
antropologica ed etnologica. Non senza difficoltà e persino opposizioni da
parte del potere economico, politico e amministrativo che, a causa delle sue
ricerche “scomode”, si sentiva evidentemente minacciato o comunque messo
seriamente in discussione.
Scrive infatti Cagnetta nell’Introduzione: ”Voglio qui
ricordare (soltanto per caratterizzare la singolare condizione in cui si
trovava la ricerca antropologica) che nel corso di
quelle ultime indagini certi proprietari locali giunsero a intimarmi il
silenzio sugli avvenimenti con minacce di morte, di cui naturalmente non tenni
alcun conto. Non posso
certo dire però di aver beneficiato dell’aiuto delle autorità amministrative e
delle forze di polizia locali, che, invece di proteggere la ricerca, cercarono
di impedirmela con interrogatori, pedinamenti ecc.”.
Ma c’è di più: a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Inchiesta su
Orgosolo, il 9 novembre 1954, l'allora ministro dell'Interno, il democristiano
Mario Scelba, denunciò all'autorità giudiziaria sia Franco Cagnetta che i
direttori della rivista, Alberto Moravia e Alberto Carocci, ma anche tutti i responsabili dei giornali che ne
riportavano brani, per i reati di di vilipendio delle forze armate e
pubblicazione di notizie atte a turbare l'ordine pubblico. Lo stesso Scelba
chiese – ottenendolo – il sequestro della rivista.
Non posso non ricordare – scrive ancora Cagnetta –
l’ironica sorpresa che suscitarono in me accuse tanto preoccupanti rivolte alla
nascente antropologia culturale. La questione fu discussa persino in
Parlamento, dove il socialista Pietro Nenni la definì la più terrificante
inchiesta che sia comparsa negli ultimi sessant'anni. Dovettero passare quasi
due anni prima che il Tribunale di Roma, con sentenza del 4 Aprile 1955
dichiarasse non doversi promuoversi l’azione penale e ordinasse la trasmissione
degli atti in archivio perché nell’Inchiesta non ricorrevano gli estremi di
reato di vilipendio delle forze armate e perché le notizie pubblicate non erano
tali da turbare l’ordine pubblico, come il Ministero dell’Interno, con rapporto
della Questura di Nuoro, aveva denunciato.
Anche se per la scarsità della tiratura e per gli
effetti del sequestro l'Inchiesta divenne immediatamente introvabile, il lavoro di Cagnetta sollevò un'eco immediato sulla stampa italiana (dal Il Corriere della Sera a Il Contemporaneo,
dall’Avanti, a Paese Sera, La Stampa ed altri) e su quella straniera (dal The
Times a Le Figaro) dove vennero pubblicati numerosi estratti. Tale eco fu
rinnovato nel 1961 quando, alla Biennale di Venezia, fu assegnato il Premio
opera prima al film di Vittorio De Seta Banditi a Orgosolo, che all’Inchiesta
si ispirava. Alla sua Inchiesta Cagnetta, orgogliosamente, – e, a nostro
parere, giustamente – attribuisce un certo peso nel promuovere l’abolizione
successiva del «confino di polizia» e l’inchiesta del senato, i cui testi sono
noti attraverso i due volumi della « Commissione parlamentare d’inchiesta sui
fenomeni della criminalità in Sardegna».
Sia come sia, la ricerca di Cagnetta fu pubblicato integralmente solo nel
1963 in Francia per le Edizioni Buchet/Chastel di Parigi (Bandits d'Orgosolo), con prefazione di Alberto Moravia e fotografie di
Pablo Volta e Sheldon M. Machlin. Questa edizione viene poi tradotta e
pubblicata in Germania nel 1964 dalle Edizioni Econ-Verlag (Dusseldorf-Wien)
con il titolo Die banditen von Orgosolo). Bisognerà aspettare fino al 1975 per
la prima pubblicazione in Italia con il titolo Banditi a Orgosolo, con
l’editore Guaraldi , con un'introduzione di Luigi Lombardi Satriani e una nota
dell'Autore, che si aggiungono alla prefazione di Alberto Moravia già apparsa
nell'edizione francese.
Ma ecco come Cagnetta presenta, nell’Introduzione, la sua ricerca: ”Nell’ inchiesta su Orgosolo del 1954 mi ero posto
una questione per me assillante: come è possibile studiare una popolazione e una
civiltà di «primitivi» senza tener presente la realtà dei rapporti che essa ha
con la civiltà moderna in cui è in contatto? Lo studio di
una popolazione e di una civiltà di «primitivi» non è niente altro che lo
studio di una particolare situazione del nostro mondo moderno. Più che nello studio isolato del «relitto» il
compito dell'etnologo sta nello studio dei rapporti tra struttura antica e
moderna, per indicare, poi, i mezzi che consentano di evitare uno scontro
drammatico di distruzione (che è sempre sopraffazione della struttura antica) e
cercare un incontro che permetta di conservare la civiltà dell’antico
immettendola nel mondo moderno, che ne sarà arricchito.
È studiando il caso di Orgosolo che mi ero reso conto
che, se un «relitto» arcaico esisteva, esisteva in una tensione distruttiva non
ancora risolta. La sua permanenza derivava soltanto
dalla impotenza della struttura moderna – gli Stati succedutisi dai Romani ad
oggi – che ne avevano tentato la conquista soltanto con la forza militare. Rinunciandovi per situazioni assai particolari
(difficoltà di territorio, tradizione millenaria di guerriglia, scarso profitto
economico) avevano trovato il loro interesse – nel cingerlo in un perpetuo
assedio poliziesco – perpetuandone così l'esistenza arcaica, abbandonata a sé
stessa.
Era una situazione ben nota nelle conquiste coloniali
in Africa, in Asia, nelle Americhe, eppure Orgosolo era un paese nel territorio
italiano, abitato da cittadini italiani. Venivo a toccare uno dei problemi più
gravi e pia dolorosi del processo di unificazione nazionale. Mi era impossibile
– se non accettando di essere un quadro culturale «colonialista» (e l'etnologo
«accademico» mi si rivelava così essere niente altro che l'etnologo
«colonialista») – evitare di denunciare lo
scandalo che costituiva la situazione di Orgosolo.
Il problema aveva assunto maggior rilievo per le gravi
repressioni che in quell’anno 1954 furono condotte contro il paese. Lo scandalo
mi sembrava esemplare per far comprendere l'azione della «struttura» moderna
dello Stato diretto dalla borghesia. Denunciando
apertamente le condizioni di Orgosolo mi ero limitato a dire soprattutto quali
erano i metodi che non dovevano essere usati: quelli unilaterali della conquista
militare, della repressione poliziesca. È una lezione appresa in Orgosolo venti anni fa e, dopo tanti anni, non
ho che nuovi motivi per sottoscriverla integralmente.
Ritrovo in questa mia convinzione di uomo e
antropologo una ragione per ripubblicare in Italia questa inchiesta. La
ripubblico quale fu scritta, senza aggiornamenti, poiché la situazione del
paese, che pure ha subito profonde modifiche esterne (come risulta dalle
testimonianze degli amici pastori che lavorarono a quelle mie ricerche, dalle
cronache criminali dei giornali e dai nuovi studi su Orgosolo) non sembra
modificata per l’essenziale. Malgrado un
notevole affievolimento e la scomparsa di molte tracce, la struttura culturale
arcaica del paese non è del tutto scomparsa”.
Sul problema del colonialismo esercitato dallo Stato Italiano nei confronti
della Sardegna, di cui il caso “Orgosolo” è emblematico, ritorna nella prefazione Luigi M. Lombardi Sartriani
il quale chiedendosi perché il libro di Cagnetta abbia suscito tanto scandalo
risponde: ”Sinteticamente, siamo negli anni Cinquanta, la società italiana è in
fase di espansione capitalistica; la ricchezza che viene prodotta (ma a
vantaggio di chi?) tende a occultare le zone di sottosviluppo, il cui
mantenimento è funzionale allo stesso sviluppo capitalistico e che
costituiscono il prodotto della stessa logica… in un quadro di costante
sfruttamento”.
Di sfruttamento, repressione e nel contempo di
espropriazione culturale, segnatamente nei confronti dell’area barbaricina. “La
distruzione del diverso, (prassi effettiva) – scrive ancora Sartriani –
smentiva il rispetto e la garanzia della libertà (dichiarazione ideologica): la Barbagia veniva indicata come luogo (uno dei luoghi) della violenza
distruttrice delle classi dominanti, dell’espropriazione culturale ed
esistenziale…”
Sullo stesso versante si muove Alberto Moravia nella Introduzione al libro
di Cagnetta: anch’egli denuncia il colonialismo e la repressione da parte dello
Stato italiano considerato dai Sardi “lontano e avverso quando non addirittura
straniero”. E continua:
”Io stesso con i miei occhi ho veduto nelle meravigliose solitudini alpestri
della Sardegna posti di guardia di carabinieri dotati di armi modernissime e di
comunicazioni radio, proprio come soldati in una colonia in rivolta contro un
regime colonialista”.
Di Francesco Casula.
Saggista, storico della Letteratura
sarda