Subra Dante e sa Sardigna nd'ap'iscritu in "I viaggiatori italiani e
stranieri in Sardegna” (Alfa Editrice,2015). Unu biculeddu, non
sappiamo con esattezza se Dante sia stato in Sardegna di persona: non abbiamo
comunque documenti che lo accertino.
Nella Divina Commedia però i riferimenti alla Sardegna e ai Sardi, ai suoi
costumi e ai principali personaggi che quivi avevano interessi e possedimenti o
che comunque vi svolsero la loro opera, sono tanto frequenti da indurre Tommaso Casini (in Ricordi danteschi in Sardegna, in Nuova
Antologia, terza serie, vol. LVIII, fasc. XIII e XIV) a prospettare l’ipotesi
che l’Alighieri vi sia stato e
che l’Isoletta di Tavolara, all’uscita del canale di Olbia, con la sua
struttura conica dalle bianche falde calcaree emergenti dal mare abbia dato lo
spunto alla forma del Purgatorio quale la foggiò l’ardita fantasia del poeta.
Ecco cosa scrive: ”La storia, la geografia, la lingua,
i costumi, gli uomini, i fatti della Sardegna nel tempo di Dante sono
rispecchiati nelle opere di lui con tanta precisione e abbondanza di
informazioni che, al confronto col silenzio di tutti i suoi contemporanei,
inducono un senso di meraviglia sì che non dovrebbe poi parere troppo ardita
l’ipotesi che il Poeta, o da giovane, quando a ciò poteva
essergli occasione l’amicizia sua con il giudice Nino gentile o nella più
matura età quando fuoruscito dalla patria godette la ospitale cortesia dei
Malaspina, i quali appunto ebbero in quegli anni
frequenti occasioni di recarsi nell’isola, facesse anch’egli come tanti altri
al suo tempo, il viaggio in Sardegna. L’ipotesi sarebbe tutt’altro che campata
in aria…”.
Anche perché – aggiunge Casini – ai tempi di Dante il viaggio dall’Italia
alla Sardegna era “Né lungo né difficile. Le galee di Pisa arrivavano per
l’Elba alle coste della Gallura in due giorni”. E Pantaleo Ledda, più o meno sulla stessa linea (in
Dante e la Sardegna, 1921, riedito dalla Gia editore, Cagliari, 1994) scrive
che “se non si trattasse di un volo di fantasia, si potrebbe dire, per
avvalorare l’ipotesi di questo viaggio, che l’idea di creare il monte del
Purgatorio, sorgente dalle acque di un mare solitario, venisse al poeta
dopo le vive impressioni alla vista dell’Isola di
Tavolara, che sale a picco dal mar Tirreno,
coronata sulle cime di una fosca boscaglia”.
“Certo è che quell’Isola scriveva sempre Casini – come ricorda Manlio Brigaglia in Dionigi
Scano, Ricordi di Sardegna nella Divina Commedia con scritti di Alberto
Boscolo, Manlio Brigaglia, Geo Pistarino, Marco Tangheroni, Cagliari, Banco di
Sardegna, Milano Silvana editoriale, 1982 – così
integrata all’economia toscana,
così attraversata da mercanti e marinai (furono loro che fecero alle donne di
Barbagia la fama di licenziosità di cui furono secondo i commentatori,
unanimemente circondate nel medioevo) così direttamente collegata alle lotte di
potere fra le grandi famiglie pisane, così importante nella politica
oltretirrenica di quei signori Malaspina di cui Dante fu ospite e lodatore,
doveva essere conosciuta e universalmente «raccontata» nel mondo che Dante
conobbe e frequentò”.
Sicuramente conosceva gli avvenimenti e i personaggi della Sardegna del
secondo ‘200 e del primo ‘300 sia attraverso Nino Visconti, il Nino gentile suo
amico, Giudice di Gallura, morto nel 1289, che spesso si recava a Firenze; sia
attraverso i toscani che spesso si recavano in Sardegna; sia attraverso gli stessi
Sardi che si recavano in Toscana.
Dante parla della Sardegna e dei
Sardi nei canti XXII, XXVI, XXIX, XXXIII dell’Inferno e nel VII e XXII del
Purgatorio
Francesco Casula
Storico e saggista, autore de "Carlo
Felice ed i Tiranni Sabaudi" e
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